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Vivendo nella città più fotografata, era inevitabile fotografarla.

Un atto d’amore verso pietre mirabilmente organizzate, spazi urbani millenari, luci e atmosfere irripetibili, non può, però, essere connivente con l’oleografia, il conformismo e l’ipocrisia che hanno ridotto questa città a simulacro posticcio per turisti. Lavorando su una narrativa urbana, quasi obbligata, ho cercato di leggere Venezia secondo punti di vista rigorosi.

Dai campanili e da un vaporetto surreale, era forse possibile restituire una visione originale delle architetture e dei luoghi. Nel primo caso, dalle torri che, in qualche modo, servirono anche a De Barbari per costruire la sua pianta cinquecentesca; nel secondo, ricostruendo digitalmente un prospetto delle rive della via d’acqua più affascinate che esista, ricomponendo, nello spazio di uno sguardo, il Canal Grande senza fronzoli e tramonti.

Altri temi sono stati la laguna e le sue isole, la città medievale e romanica, il mondo del remo e delle barche tipiche, dove agonismi e tecnologia secolari ne rendono ancora autentica la configurazione: riserva estrema di venezianità.

Altre immagini di ambiente, qualche scampolo di una vita quotidiana in cui si arrocano i residenti storici, via via confinati dai numeri del turismo, completa il quadro.

Non c’è, e non ci sarà, il carnevale.